PREMIO LUCIA 2020

per la produzione audio | deadline 13.11.2020

ARCHIVIO

Radio Papesse | Lucia Festival in collaborazione con Fondazione Archivio Diaristico Nazionale (ADN) Pieve Santo Stefano,
presenta il PREMIO LUCIA per la produzione audio.


Dal 2006 Radio Papesse promuove e sostiene la produzione audio sperimentale, invitando artisti e producer a sfidare le regole del medium radiofonico. Continuiamo a farlo, più che mai quest’anno, unendo le forze con una grande istituzione - l’Archivio Diaristico di Pieve Santo Stefano  - e invitando produttori, podcaster e autori a sorprenderci con nuove narrazioni audio. 

 


Partecipare al PREMIO LUCIA è l’occasione per vincere un premio di produzione, ma significa anche condividere con noi la passione e l’interesse per il racconto audio, nelle sue forme più sperimentali, attente e curate. Le storie vanno ascoltate, lo diceva sempre Saverio Tutino, fondatore dell’Archivio dei diari: le storie vanno ascoltate. E allora partiamo da quelle di Pieve Santo Stefano, dove dal 1984 è stato raccolto un patrimonio storico e culturale unico nel suo genere, fatto di oltre 9000 tra diari, memorie ed epistolari. Storie private inedite, letteratura involontaria, scritti di gente comune in cui si riflette, in varie forme, la vita di tutti e la storia d’Italia.

La prima edizione del PREMIO LUCIA nasce dunque da una duplice convinzione: che il racconto audio sia la scelta elettiva per restituire la complessità e il carattere privato di queste piccole grandi storie; e che vi sia in Italia una comunità di producer e artisti talentuosi di cui vogliamo ascoltare più spesso e più forte la voce, in radio e altrove. 

Insieme all’Archivio dei diari abbiamo selezionato 6 storie tra quelle conservate oggi a Pieve Santo Stefano. Leggetene le sinossi, sceglietene una e pensate a come vorreste raccontarla. Scriveteci come la tradurreste in audio, vi invitiamo a lavorare con e sul formato del documentario radiofonico, sperimentate, rinnovate il genere.

Unico limite, qualsiasi sia la vostra lingua madre, il PREMIO LUCIA è per produzioni in italiano

La giuria premierà i progetti più ambiziosi e innovativi; che arrivino da giovani producer o professionisti consolidati non importa; sono ammessi anche gruppi di produzione, collettivi e compagnie teatrali.

 

COSA CI ASPETTIAMO

Gli autori / producer / collettivi, gruppi premiati dovranno realizzare una produzione di 30 minuti (si prendono in esame anche produzioni seriali, a episodi). Cerchiamo proposte capaci di valorizzare le storie raccontate dai diari e allo stesso tempo di sfruttare tutte le possibilità della narrazione audio. Cerchiamo produzioni originali di qualità da un punto di vista narrativo e sonoro. 


 

Il premio

Il Premio LUCIA consiste in

1° premio = € 2.500,00
2° premio = € 1.000,00 


I premi saranno tassati in base al regime fiscale dei vincitori. 

Saranno erogati in due tranche:
• la prima tranche entro una settimana dall’annuncio dei vincitori,
• la seconda tranche alla consegna del lavoro (da inviare non oltre fine giugno 2021)

I LAVORI PRODOTTI SARANNO
• presentati al LUCIA Festival 2021,
• pubblicati su radiopapesse.org,
• pubblicati sulla piattaforma di digital storytelling di ADN (online nel 2022).

Modalità di partecipazione

Per partecipare occorre:

compilare il  MODULO DI ISCRIZIONE, allegando:
1. ricevuta di versamento di € 10,00 di contributo liberale a Radio Papesse 
(per aiutarci a coprire i costri amministrativi del premio) da saldare via Paypal o bonifico bancario:

Unicredit Banca
Agenzia: Firenze Nazario Sauro
IBAN: IT 06 J 02008 02836 000401118520 
BIC SWIFT: UNCRITM1F13


2. cv/portfolio in cui si descrivono in dettaglio le produzioni audio realizzate e un link per permettere alla giuria di poterne ascoltare almeno un’anteprima.
inviare la descrizione del proprio progetto (max 2000 caratteri).

Le iscrizioni, complete di proposta di progetto e ricevuta di pagamento, dovranno essere inviate all’indirizzo premiolucia@radiopapesse.org ENTRO E NON OLTRE IL 13 NOVEMBRE, ore 23.00.

N.B.: Una volta compilato il modulo di iscrizione, ai partecipanti al bando sarà inviato un link dal quale accedere ad alcuni estratti dei diari selezionati, così da farsi un’idea più precisa delle storie: si invitano i partecipanti a compilare il modulo di iscrizione al più presto, per avere il tempo necessario di leggere i diari e formulare la propria proposta entro i termini di scadenza del bando.

Per ogni ulteriore dubbio o domanda, scrivete a premiolucia@radiopapesse.org. 

La Giuria

I vincitori saranno annunciati il 13 dicembre 2020, durante il LUCIA Festival.
Le motivazioni della giuria saranno pubblicate sul sito luciafestival.org.

La giuria è composta da 
Radio Papesse | Ilaria Gadenz e Carola Haupt RAI
ADN | Natalia Cangi, Martina Magri, Tiziano Bonini.

Il Partner

La Fondazione Archivio Diaristico Nazionale (ADN) nasce nel 1984 dalla volontà del fondatore - Saverio Tutino - di costruire un luogo della memoria. Un luogo in cui raccogliere e conservare testimonianze private (diari, memorie, autobiografie, epistolari) che, messe l’una di fianco all’altra, potessero andare progressivamente a tratteggiare e narrare la storia del nostro paese, così come le sue evoluzioni sociali e culturali. Una istituzione nata quindi con la finalità di raccogliere e conservare patrimonio documentario, ma non solo. Fin dai primi anni di attività di ADN, Saverio Tutino ha preferito sostituire l’appellativo di “banca della memoria” con il più efficace “vivaio di memoria”. Le finalità istituzionali di ADN non si fermano infatti alla raccolta e alla conservazione ma si spingono nei campi della diffusione, della promozione e della valorizzazione del patrimonio custodito. La vera sfida che caratterizza da sempre l’Archivio dei diari è proprio quella di rendere fruibile a tutti una storia collettiva in cui tutti hanno voce. Gli scritti conservati da ADN sono ormai più di 9000 e costituiscono una risorsa inimmaginabile di diari, memorie, epistolari e lettere che hanno rappresentato e rappresentano tuttora, non la storia minore del nostro Paese ma la Storia di uomini e donne partecipi dei molteplici cambiamenti storico-socio-culturali ed anche linguistici della società italiana ed europea.

I diari

1 Ivano Cipriani | Il percorso di liberazione personale di un giovane Balilla che si emancipa dal regime fascista grazie al suono della tromba di Louis Armstrong durante la Liberazione.

Roma, 1926. Ivano nasce nella capitale in una famiglia antifascista di origine toscana. È figlio unico e vive con altri sei adulti, zii, nonni e un cugino più grande. La famiglia lo ricopre di attenzioni, premure, amore. Vogliono che il piccolo possa farsi una posizione nella società e per tutelarlo, in quel clima politico a loro così ostile, accettano che diventi Balilla. La mente di Ivano, ancora bambino, viene plasmata nella sua innocenza dagli schemi del regime. Il diario ripercorre l’itinerario di un coinvolgimento inconsapevole e analizza i meccanismi che generano l’adesione dei giovani al fascismo. Crescendo, attraverso le amicizie, le letture, gli amori e soprattutto la musica - che arriva dall’America insieme alle truppe liberatrici - Ivano scopre che al corredo nero da Balilla e al rigore delle parate, preferisce i suoni morbidi del blues. La rottura avviene in un istante, nell’istante esatto in cui sente per la prima volta la tromba di Louis Armstrong. Il suono di quella tromba lo incita alla rivolta. Da quel momento Ivano inizia il suo percorso di liberazione personale e la ribellione sotterranea propria della gioventù, con il tempo, assume una dimensione politica: Ivano approda al comunismo, proprio quel comunismo da cui i genitori avevano voluto proteggerlo per garantirgli un futuro.

Lettere di Raffaele Favero. Courtesy Archivio DIaristico Nazionale di Pieve Santo Stefano. Foto di Luigi Burroni.


2 Raffaele Favero | Una rivisitazione unica e toccante del viaggio verso Oriente e della gioventù freak degli anni ’70. Milano, 1967.

Raffaele ha ventidue anni, vive a Milano con la sua famiglia. Ha frequentato il liceo scientifico, ma non gli interessa proseguire gli studi, fa parte di un gruppo musicale (i Profeti), legge e si appassiona all’Oriente, come molti suoi coetanei. Nell’autunno del ‘67, Raffaele decide di lasciare tutto e partire, alla ricerca di se stesso e forse di una verità più grande, insoddisfatto della vita borghese che potrebbe permettersi a Milano, per lui troppo stretta. Così mette in moto la Citroën 2CV e inizia il suo viaggio. Andare in India via terra è un’abitudine comune per la gioventù dell’epoca, ma Raffaele rivisita questa tendenza in modo profondamente personale: prima dell’India incontra l’Afghanistan e se ne innamora. Passa lì un lungo periodo, poi vi torna alla fine del viaggio, si installa, vive di quello che può (e continua a chiedere soldi a casa), impara il pashtu, si converte all’Islam, che professa come religione di pace, fratellanza e felicità, diventa amico dei mujaheddin, vive in mezzo a loro, si trasforma in Raffiulah. Quando torna a Milano, ci torna senza cuore, ché il cuore da quel viaggio in poi l’avrà sempre fuori sede. Alcuni anni dopo conosce Jill, una ragazza australiana con cui condivide la passione per il Medio Oriente. S’innamorano, si sposano, si trasferiscono in Australia e hanno tre figli, senza mai rinunciare al loro vivere ardendo. Nel 1980 Raffaele torna in Afghanistan per documentare dall’interno la resistenza all’invasione sovietica. Fa avanti e indietro dall’Australia, dove vivono la moglie e i figli, ma dall’ultimo viaggio in Afghanistan non tornerà: morirà nell’autunno del 1983, schiacciato da un carro armato sovietico. Sarà seppellito a Urgun dai compagni mujaheddin, con gli onori che si riservano ai martiri.


3 Claudio Foschini | La storia rocambolesca di un “ragazzo di vita” delle borgate romane tra gli anni ’60 e gli anni ’90: miseria, carcere, droga e redenzione (mancata).

Roma, 1949. Tra le baracche del Mandrione nasce Claudio Foschini, da una madre “scarpara” (ladra di portafogli in gergo romano) e un padre che vende l’Unità alla stazione Termini (“lavoro di prestigio fra i poveri”). La sua infanzia assomiglia a quella di tanti bambini delle baracche romane, Claudio cresce nella miseria, ma il clima di solidarietà che regna all’interno della famiglia e della comunità di borgata danno speranza e persino gioia. Tra vicini ci si dà una mano, si passano le giornate insieme e si inizia anche a fare le prime ragazzate in banda. Poi è il tempo del collegio, inevitabile per le famiglie più povere per garantire ai figli pranzo e cena. Ma la separazione dalla famiglia e l’educazione rigida del collegio lasciano delle ferite profonde nel giovane Claudio, che comincia a essere abitato da un desiderio crescente di ribellione e vendetta. I primi furti li inizia a fare quasi per gioco, ma di lì a poco arriva al carcere minorile di Porta Portese. E da quel momento inizia una spirale vertiginosa fatta di carcere, furti, rapine, ancora carcere e molta droga. La vita si alterna tra dentro e fuori, più dentro che fuori e, nonostante il senso di ingiustizia rispetto a ciò che Claudio vive come un destino, la reclusione è un momento di riflessione e bilancio, di memoria e proiezione. È così che Claudio riempie undici bloc-notes raccontando la sua vita, in modo onesto e autentico, lo fa per lenire il passare del tempo dietro le sbarre, ma anche per avvertire quei ragazzi che potrebbero essere attirati dalla stessa strada verso la facilità, solo presunta e mai goduta. La scrittura, così come il teatro in carcere, permettono a Claudio di assaporare l’inizio di un riscatto che però non avviene mai fino in fondo: a neanche sessantuno anni, un mattino di maggio del 2010, Claudio viene ucciso da una guardia giurata in borghese in una tabaccheria, durante l’ultima rapina. Claudio Foschini ci affida la sua vita rocambolesca con generosità e lucida incoerenza, offrendoci un ritratto “da dentro” della Roma borgatara di quegli anni.

Diario di Claudio Foschini. Courtesy Archivio Diaristico Nazionale di Pieve Santo Stefano. Foto di Luigi Burroni.

 

4 Paule Roberta Yao | Il viaggio di una giovane donna francese, nata in Camerun e residente a Roma, alla riscoperta delle sue origini.

Marsiglia, 2010. Sono gli ultimi giorni dell’anno, quei giorni di festività durante i quali le famiglie si riuniscono, anche quelle distanti, e si preparano ad accogliere ciò che verrà. Paule ha 26 anni, sta tornando a casa dall’Italia, dove ormai vive, per passare il capodanno con genitori e sorelle. A casa la situazione non è facile: dopo trentasei anni di vita comune e tre figlie, il rapporto dei genitori è arrivato al capolinea, la madre se ne è andata di casa scompaginando tutti gli equilibri, anche quelli tra le figlie, che hanno deciso di vivere lontane le une dalle altre. Paule è la prima ad arrivare a casa del padre, la tensione è palpabile, i movimenti sono misurati, gli spazi comuni contingentati. Una telefonata irrompe nella geometria del rancore: Odette, la sorella più grande, è venuta a mancare nella notte. È proprio Paule a ricevere la notizia e a doverne informare prima il padre, poi la madre e infine l’altra sorella. Incredulità, pianti, dolore. Il lutto sconvolge la vita di Paule, ma le dà anche l’opportunità di guardarsi dentro, di fare i conti con il proprio presente e con ciò che di esso desidera cambiare. Restare a Marsiglia presso i genitori per accompagnarli nel lutto o andare sempre più verso se stessa? La risposta è semplice, Paule torna in Italia, trova un lavoro, inizia una terapia. E da quel momento comincia a dipanare il filo, a ripercorrere la sua storia e, affrontando il lutto, si ritrova ad affrontare se stessa, le sue origini, il suo rapporto con i genitori immigrati, sempre “sull’orlo di due mondi”, in un equilibrio instabile tra la cultura del paese di accoglienza e quello di origine. I genitori non hanno mantenuto legami forti con il Camerun e forse sta proprio a Paule ricostruirli per poter ricostruire la sua identità. Ed è così che alcuni anni dopo, sempre durante le feste natalizie, Paule parte per Yaoundé, dove è nata, e lì viene accolta da nonna, zii e cugini. Il Camerun è “uno tsunami emotivo”, una presa di coscienza delle condizioni della famiglia rimasta al paese, delle loro abitudini e dei loro valori, dei propri privilegi in quanto cittadina europea, ma anche del percorso impervio che hanno dovuto affrontare i genitori per partire, affrancarsi e ricostruirsi senza mai sentirsi davvero accolti. Quel viaggio, proiettandola in una dimensione estranea e familiare al tempo stesso, permette a Paule di completare il percorso di guarigione dal lutto, di conoscenza e di riconciliazione con le sue origini. E forse non è un caso che Paule abbia deciso di vivere in Italia, né luogo di nascita, né paese di appartenenza, né Camerun, né Francia, ma terra d’approdo personale; come se solamente in quel solcare ripetutamente il confine fosse possibile recuperare un’intimità con i genitori e con se stessa; come se solo in quella terra d’elezione fosse in grado di decidere chi vuole essere davvero, circondarsi di una famiglia scelta, lontana dai legami obbligati, accettare le proprie origini, andarne fiera e sentirsi forte di quell’identità che è danza tra più mondi.


5 Caterina Minni | La lotta contro l’anoressia raccontata da una ragazzina di quattordici anni.

Caterina ha undici anni quando decide di arrestare la crescita del suo corpo. È magrissima, ma si trova informe. Gli scaffali del supermercato sono per lei motivo di angoscia, il cibo senza calorie è un bottino di guerra da imporre ai familiari. A dodici anni viene ricoverata per oltre due anni nella Residenza di Palazzo Francisci di Todi, struttura adibita al trattamento dei disturbi alimentari. Una volta dimessa, va a vivere in convitto a Sansepolcro. E da lì inizia la battaglia più dura, non più quella della sopravvivenza, ma quella della guarigione, percorso lungo e pieno di ostacoli imprevisti. È così difficile squarciare il buio, imparare a rimettersi in gioco, fidarsi di se stessi e degli altri, rendere meno appuntita e spigolosa l’anima, anche quando il corpo già non lo è più. La scrittura accompagna il percorso, lo documenta e lo sostiene, forse lo rende addirittura possibile. Perché la guarigione disorienta, scardina i capisaldi della malattia con i quali ci si identifica, ridisegna l’identità secondo una geografia tutta nuova, che non è più quella del dolore. E di questo percorso va conservata una traccia, per non perdersi e per non perdere di vista l’obiettivo. Disapprendere il dolore è difficile, specie quando è scolpito nel corpo, campo di battaglia e nemico ostile da affrontare senza pietà. Ma Caterina ha deciso di vivere: pagina dopo pagina affida al diario i suoi pensieri più indicibili e al percorso medico affianca un viaggio personale, lucido e profondo. Quando si accorge di non provare più invidia per un corpo che soffre più del suo, che “vince” sulla scala del dolore, capisce che forse è proprio lei che sta vincendo. Il suo è un diario di guerra e la scrittura s’interrompe quando Caterina arriva alla fine del percorso di guarigione: ha individuato il momento esatto in cui tutto è cominciato, analizzato la ragione per la quale si è inflitta tante sofferenze. Grazie a questa nuova consapevolezza può mettere un termine alla battaglia, far pace con se stessa e con gli altri e anche fare i conti con ciò che l’ha portata alla malattia.

 

6 Liudmila Florenta | La storia di una donna che lascia la Moldavia e tre figlie per lavorare come badante in Italia, ma a raccontarla è chi resta: la figlia, ormai adulta.

Chisinau, 2016. Liudmila ha 19 anni. Per i suoi compagni quelli sono i giorni della maturità, ma per lei è l’inizio di una seconda vita. Di lì a una settimana partirà per l’Italia, dove l’aspetta la madre, che è partita tredici anni prima, quando Liudmila di anni ne aveva solo sei. Da allora Liudmila l’ha rivista una volta e di anni ne aveva già il doppio. Di lei ricorda gli abiti del giorno della partenza, un maglione rosso e dei pantaloni di velluto nero: “vestiti non ne aveva altri, ma era bellissima”. La madre parte per offrire un futuro migliore a Liudmila e alle sue due sorelle, Liudmila lo sa, immagina e ripercorre in dettaglio, con premura, le sofferenze della madre in quel paese straniero, ma sa anche che con lei se ne va la sua infanzia. Quando Liudmila arriva in Italia riconsidera la sua età: si sottrae gli anni che ha passato lontana dalla madre e da se stessa, quelli in cui si è sentita in esilio dai nonni, perché cosa si può considerare “casa”? “Il posto dove c’è la mamma, dove trionfa l’amore!”.

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