Touched, la sesta edizione della mostra internazionale della Biennale di Liverpool, presenta lavori e progetti definibili in prima istanza dalla capacità di coinvolgere lo spettatore non solo da un punto di vista fisico e intellettivo ma anche emotivo.

Per definire questo assorbimento simultaneo dei sensi, delle emozioni e dell'intelletto in inglese si usa la parola emplacement; per molti anni, a partire dalla iperintellettualizzazione dell'arte concettuale, il processo artistico si è pogressivamente disinteressato del canale sensoriale prediligendo uno stimolo che fosse puramente cerebrale. Touched afferma invece l'importanza delle dinamiche dell'affettività; le emozioni, in altre parole, sono l'anticamera del pensiero, una volta innescato un coinvolgimento emotivo l'individuo si apre all'elaborazione mentale del cambiamento, della complessità, del nostro agire in relazione al mondo esterno.

Il termine touched, toccato, rappresenta un grande ombrello di senso; le sue connotazioni spaziano dalla commozione alla follia, dalla fisicità all'investimento politico in quanto individui inseriti in una polis e comunità. Come si può entrare in contatto con la città? si chiedono a Liverpool; è necessario lavorare all'aperto, seguendo logiche relazionali per essere artisti impegnati in produzioni di arte pubblica? si chiede il curatore Lorenzo Fusi.

A queste domande - e per tentare di sconfessare alcune rigidità dell'arte che occupa lo spazio pubblico - Fusi ha cercato di rispondere con The Human Stain/La Macchia Umana, una delle sezioni di Touched che predilige la pittura, una delle scelte formali più tradizionali, più private.
Gli artisti selezionati non solo mettono in scena il contatto dell'individuo col proprio ambiente, spesso urbano, ma allo stesso tempo espongono gli effetti collaterali di questo contatto con la collettività, i risultati delle convenzioni sociali, l'induzione del senso di colpa e della vergogna. Nei lavori di Tim Eitel ad esempio, quello che è considerato una macchia della società, quello che di solito viene nascosto come la spazzatura, viene mostrato e sebbene ogni riferimento contestuale sia eluso, la vulnerabilità di quelle scene è del tutto familiare.
La Macchia Umana è un percorso nella complessità sociale, al di là della bellezza formale e pittorica che li contraddistingue, i lavori di Eitel, di Oren Eliav, Edi Hila, Y. Z. Kami sono anche politici nella forza analitica degli stati sociali e degli stati d'animo degli individui.

Non è un caso, dice Lorenzo Fusi, che The Marx Lounge di Alfredo Jaar si trovi sullo stesso piano di The Human Stain. L'idea di bellezza pittorica riconoscibile nei quadri di questi artisti è radicata in quella stessa tradizione borghese che ha incubato le teorie politico-economiche di Karl Marx.

Non è un caso anche che Alfredo Jaar sia un'artista con una delle visioni politiche più forti, uno di quegli artisti che non fanno semplice cronaca ma che pensano alternative, che - per citare ancora Fusi - mettono a nudo il re. Di Jaar la Biennale ha prodotto anche l'ultimo capitolo di Project Ruanda, il video We wish to inform you that we didn't know.

Dopo sedici anni dalla sua prima visita in Rwanda, a pochi giorni dal genocidio, Jaar torna sulla vicenda, puntando il dito contro il silenzio della comunità internazionale.

Nello stesso Scandinavian Hotel che ospita il video di Jaar, Cristina Lucas presenta Touch and go, un video prodotto per la Biennale e pensato per Liverpool e la sua storia ciclica di rivoluzioni economiche. Su una stanca base di Revolution dei Beatles un manipolo di sindacalisti in pensione tirano sassi all'edificio abbandonato della Europleasure International LTD. Non un semplice atto vandalico, che ha perso forza e rabbia negli anni, ma un messaggio di rammarico, sebbene molto ironico, rispetto a una città che dall'industria manifatturiera è stata toccata e poi abbandonata.
Il video della Lucas è il respiro di sollievo dopo la densità emotiva del video di Jaar; come ci ha detto lui stesso sorridendo, è la via d'uscita all'abisso in cui ci aveva portati il video We wish to inform that we didn't know.

Visioni alternative sono anche quelle degli artisti invitati nella sezione Re:thinking Trade. La proposta culturale e critica che accomuna i lavori presenti cerca un contatto con una città fortemente rimodellata dalla globalizzazione, con la proposta di modelli differenti di commercio, con visioni possibili di riappropriazione del proprio tempo, degli spazi pubblici, delle relazioni di compravendita. Tra gli artisti presenti, abbiamo incontrato i Freee Collective e Lee Mingwei .

Se Touched pone al centro le dinamiche dell'affettività e il coinvolgimento emotivo della persona come motore per innescare un dicorso critico, due progetti si distinguono per la loro capacità di toccare lo spazio ma soprattutto la percezione dello spazio e del visitatore in esso. Accade con Synclastic-Anticlastic dell'artista messicano Hector Zamora, l'unico lavoro della mostra internazionale ad essere pensato e installato in un ambiente urbano 'nuovo' e nello specifico in una piazza coperta fra due palazzi in costruzione sull'isola di Mann - nell'area portuale della città. Un esercizio formale e poetico, quello di Zamora che inserisce elementi dinamici in una struttura possente, ripensando lo spazio e invitando il visitatore a ripensarlo attraverso nuove prospettive.
E accade anche con The Temple of a Thousand Bells il lavoro dell'artista brasiliana Laura Belém installato nell'Oratorio del St.James Cemetery antistante la Cattedrale di Liverpool. Mille campane di vetro soffiato per un'installazione che porta fuori dal tempo, all'interno di una leggenda e che costringe il visitatore a rallentare il passo ascoltando una storia e soprattutto ascoltando il suo silenzio interiore.

Sotto l'ombrello della Biennale di Liverpool, oltre alla mostra internazionale, si sviluppano altri progetti, fra cui S.Q.U.A.T. la sigla con la quale si presenta la collaborazione fra il gruppo americano NLE-No Longer Empty e quello inglese TAO-The Art Organisation. Parte del progetto di S.Q.U.A.T. è la mostra Sound-Art con la quale il curatore Asher Remy-Toledo sottolinea la vita 'underground' di Liverpool. Nel dialetto locale [scouse] sound significa 'buono', 'bello' e sound si riferisce anche alla cultura sonora della città, quindi arte buona ma anche arte sonora.

In archivio le interviste a artisti e curatore.

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