Dieci opere dalle collezioni valorizzate dalla Fondazione Modena Arti Visive. 

Le immagini parlano è una serie dedicata a dieci opere, dieci immagini di Giovanni Bellone, Samanta Batra Mehta, Alighiero Boetti, Elina Brotherus, Nan Goldin, Naoya Hatakeyama, Luigi Malerba, Dayanita Singh, Edward Weston e Akran Zaatari.

Le immagini parlano è prodotto da Radio Papesse in occasione della mostra Logos. Le immagini parlano, alla Fondazione Modena Arti Visive - nella sede di Palazzo Santa Margherita - dal 15 settembre all'11 febbraio 2024. Due uscite al mese, da settembre 2023 a gennaio 2024.

Curata da Chiara Dall’Olio, la mostra raccoglie opere provenienti dalle collezioni di fotografia e disegno di Fondazione di Modena e Comune di Modena, ora gestite e valorizzate da Fondazione Modena Arti Visive. 

 

Dayanita Singh
Myself, Mona Amhed (1989-2001)
21 fotografie in bianco e nero, stampe alla gelatina ai sali d’argento, 30,5 x 45,5 cm ciascuna

21 scatti e 12 anni di vita.
21 scatti che raccontano la drammatica parabola di Mona Ahmed. Di Mona e Ahmed allo stesso tempo, né maschio, né femmina, ma un eunuco di Dehli, una delle tante, sebbene unica. A raccontarne la storia è Dayanita Singh, fotografa, grande narratrice per immagini, biografa e sua amica. Il ritratto che ne emerge vive della fiducia e dell’affetto che le unisce. 

Per parlare di Myself, Mona Ahmed – del portfolio di 21 fotografie esposto nella mostra Logos. Le immagini parlano, bisogna partire da qui, dall’amicizia tra Mona e Dayanita Singh.  

La voce di Dayanita Singh che ascoltate in quest’episodio è tratta da un suo talk al MOMA e da un’intervista rilasciata alla Hasselblad Foundation, in occasione dell’omonimo premio assegnatole nel 2022.



Nan Goldin
Cookie at a restaurant, Positano, 1986

fotografia a colori, stampa Cibachrome, 69,9 x 99 cm

“Le istantanee sono quasi come un atto d’amore, sono scatti che si fanno per ricordare persone, luoghi, momenti. Scatti che immortalano una storia per creare la storia. E viceversa.”

Sono le parole di Nan Goldin a proposito della sua fotografia.
Dagli anni Settanata l'artista americana scatta migliaia di istantanee: fotografa le feste e i momenti di calma, la quotidianità e gli eccessi, la droga e il sesso. Fotografa suoi amici e se stessa in ogni situazione. Fotografa così tanto che le persone intorno si dimenticano del fatto che lei stia immortalando ogni momento.

Ma chi è la donna seduta al tavolo di un ristorante a Positano nel 1986?
Cookie at a restaurant. Positano 1986 ci porta nel mondo di Nan Goldin, nel privato della sua famiglia queer. Uno scatto che immortala una storia per creare la storia.

 


La voce di Nan Goldin che ascoltate in quest’episodio è tratta da frammenti di interviste e conferenze pubbliche che l’artista ha rilasciato negli anni e che sono accessibili su YouTube [QUI, QUI e QUI].

Per conoscere meglio il suo lavoro e capire come le esperienze degli anni ‘70 e ‘80 abbiano influenzato il suo lavoro di artista e attivista sino ad oggi, vi consigliamo cercare il bellissimo documentario All the beauty and the bloodshed - in Italiano Tutta la bellezza e il dolore - della regista Laura Poitras.

Mentre la vita di Cookie Mueller è raccontata da Cookie stessa in una serie di scritti che intrecciano il tragico e il surreale, la psichedelia e il trash. Le sue poesie e i racconti brevi sono stati pubblicati nella raccolta Walking Through Clear Water in a Pool Painted Black. Oppure la potete ritrovare nei film di culto del regista John Waters, uno fra tutti: Pink Flamingos.

 


Edward Weston
Pepper No. 30, 1930
stampa ai Sali d’argento 23,5 x 19 cm

In questo episodio, la storia di un peperone verde e della sua ascesa nel pantheon delle immagini più iconiche della fotografia del XX secolo. 

“Una scatola di peperoni alla drogheria all’angolo - scrive Edward Weston nel suo diario - ha delle implicazioni che mi stimolano emotivamente più di quasi tutte le altre forme commestibili, perché i peperoni coprono tutta la gamma delle forme naturali, con delle sorprese sperimentali.”

Della sua ossessione per i peperoni, dell'interesse di Edward Weston per i soggetti mondani e di come questo scatto abbia rotto con la tradizione pittorialista allora imperante e aperto la strada alla straight photography e al modernismo californiano, ne abbiamo parlato con Chiara Dall'Olio, curatrice della mostra. 

I diari di Edward Weston sono disponibili su Internet Archive, dove si può vedere anche The Photographer,  il video ritratto prodotto da Willard Van Dyke per la United States Information Agency nel 1948. 

 

 

Elina Brotherus
La Main


Una ragazza bionda con una maglietta gialla, in posa davanti ad una porta, la mano davanti alla bocca e sulla mano un post-it giallo con su scritto “la main”. Quella ragazza è Elina Borotherus, che racconta così la serie di fotografie di Suite Française: Era un tentativo di imparare una nuova lingua, di familiarizzare con un nuovo paese e una nuova cultura. Sono fotografie che raccontano dell’estraneità, dell’incoerenza tra la persona e il suo ambiente, e dei piccoli mezzi con cui si cerca di prendere il proprio posto nella società...”

 

È possibile esplorare il portfolio di Elina Brotherus dal suo sito www.elinabrotherus.com e per approfondire il suo lavoro vi consigliamo l'ascolto della bella intervista realizzata da Radio France nel novembre 2023.
La sua voce che ascoltate in quest'episodio è tratta da conferenze e interventi disponibili online (in particolare QUI e QUI).


 

Akram Zaatari
Nabih Awada’s letters from Askalan 
(1 C-print 91 x 74 cm; 5 C-print 49 x 40 cm)
Book of letters from family and friends 
(1 C-print 91 x 74 cm; 5 C-print 49 x 40 cm)
 

Immaginate un giovane libanese in un carcere israeliano.
Scrive molte lettere, alla madre, alla sorella, alla famiglia. Neruda è il suo nome di battaglia.
Su alcune ci sono fiori e disegni. Tutte, sono lettere rassicuranti.
L’artista Akram Zaatari le ha ritratte, rendendole documento, e lasciando trapelare ciò che Neruda non può dire. Facendo emergere le difficili condizioni di comunicazione in isolamento.

Ma chi è Neruda? E perché è in carcere? Ha appena 12 anni quando riceve il primo addestramento militare. Il suo nome è Nabih Awada. Nel 1986 entra nel Partito Comunista per unirsi alla resistenza libanese contro l’esercito israeliano. Il 10 settembre dell’88, durante un’azione armata viene fatto prigioniero, interrogato e poi detenuto in diverse prigioni in Israele, in attesa del trasferimento definitivo nel carcere di Askalan, non appena compiuti i 18 anni. Lo chiamano Neruda perché è bravo a scrivere poesie.

Ed è così che si firma in calce alle molte lettere che invia a casa.

Senza dubbio ritorneremo, Neruda.

 

Naoya Hatakeyama
A Bird (Blast 130)


Diciassette fotografie.
Messe una in seguito all’altra occupano quasi 10 metri.
Diciassette fotografie che raccontano la storia di un’esplosione.

"Le cave e le città" - dice il fotografo giapponese Naoya Hatakeyama - "sono come immagini negative e positive di un'unica fotografia" che dal 1995 sino al 2008 ha fotografato nella serie BLAST esplosioni controllate nelle cave. Di tutte le esplosioni catturate in Blast, però, ce n'è una che si distacca dalle altre, e tutto a causa di un elemento inaspettato: un uccello.
 

 

Luigi Malerba
Profili, 1985

11 disegni, pennarello e inchiostro su carta, 20,9 x 14,7 cad.

"Luigi Malerba è uno scrittore molto ironico, comico e tende all'uso paradossale della lingua e delle situazioni, è un autore eversivo che vuole utilizzare la lingua e i sistemi di comunicazione in questa direzione, per capire la realtà, scardinarla… Anche i Profili sono una specie di gioco, di scherzo, anche di scherzo serio perché Malerba non sapeva disegnare..."

Con Gino Ruozzi, che per molti anni ha insegnato letteratura italiana all’Università di Bologna e molto ha studiato Luigi Malerba, raccontiamo l'unica sua prova d'artista, una serie di disegni che la rivista Alfebeta pubblicherà nel 1985: dei contorni di oggetti d'uso comune, disegnati a penna nera su carta; immagini sintetiche, scheletriche a volte riconoscibili, altre volta intuibili.

Ogni profilo, è accompagnato da una frase gli è scritta dentro: frasi che dicono molto dell’ironia dello scrittore, di un pensiero che scarta laterale e sorprende, tanto il lettore quanto l’osservatore. Perché in stile Malerba nulla è come sembra, o almeno non è solo quello cui somiglia.


Potete riascoltare la voce di Malerba su RAI Playsound,  da una puntata de La Grande Radio; potete leggere un testo di Massimiliano Manganelli, pubblicato su Doppiozero e cercare Profili, la raccolta dei disegni pubblicata da Archinto (con un'introduzione di Paolo Mauri), il catalogo Alfabeta 1979-1988: prove d’artista nella collezione della Galleria civica di Modena, pubblicato da Mudima oppure l'antologia di Alfabeta 1979-1988, pubblicata da Bompiani a cura di Rossana Bossaglia, Maurizio Ferraris, Carlo Formenti e Clelia Martignoni. Online, su Alfabeta trovate una scheda redatta da Giovanna Lo Monaco. La rubrica Tavoli, di Giovanna Silvia, per Doppiozero, è raccolta a questo link
 


 


Samanta Batra Mehta
The grammar of Longing, 2011 

Installazione composta da 4 antiche macchine da scrivere, 6 pagine originali di un libro d’antiquariato, disegni a inchiostro e foglia d’oro


Cresciuta tra Mumbai, Londra e New York, Samanta Batra Mehta ha vissuto in prima persona la migrazione e questa, insieme agli anni trascorsi in mare, al seguito del padre che prestava servizio nella marina mercantile, ha influenzato molto la sua arte. Il suo lavoro dà corpo a mondi in miniatura, sempre in bilico tra un senso di magia e nostalgia. “Le mie influenze – scrive Batra Mehta - includono la storia, il mito, il mondo naturale, l'illustrazione medievale, l'iconografia religiosa e le filosofie mistiche”.

Attinge a grafiche e motivi medievali, testi e illustrazioni di botanica e scienze anatomiche, adotta tecniche come il collage, l’intarsio, la foglia oro, integra oggetti d’antiquariato che parlano di un altro secolo e di altre tecnologie e sistemi di conoscenza, come la macchina da scrivere o le mappe, per esempio. Lascia sempre emergere, in filigrana, intrecci narrativi che intersecano vicende personali e storia coloniale. È il caso di The grammar of Longing, un lavoro del 2011, in cui prende in esame la natura della memoria, dello spaesamento, della dislocazione e della migrazione.
 


 

 

Questo sito utilizza cookie per monitorare la tua esperienza di navigazione del sito. Per maggiori informazioni su come utilizzare e gestire i cookie, consulta la nostra Informativa sui cookie. Chiudendo questa notifica acconsenti al nostro utilizzo dei cookie.
OK, ho capito